Interviste Cinema

Il labirinto del silenzio: Giulio Ricciarelli presenta il film scelto dalla Germania per gli Oscar

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La storia del processo che svelò gli orrori di Aschwitz.

Il labirinto del silenzio: Giulio Ricciarelli presenta il film scelto dalla Germania per gli Oscar

Per la sua prima volta dietro alla macchina da presa Giulio Ricciarelli non ha scelto né il cinema di genere, né uno stile invadente, né la facile strada della citazione.
No, spinto un bisogno che certamene ha a che fare con la sua storia di italiano trapiantato in terra tedesca, il neoregista ha voluto tuffarsi nella Germania di fine anni Cinquanta, paese in ripresa economica combattuto fra la voglia di dimenticare e deresponsabilizzarsi e l’impossibilità di venire a patti con il senso di colpa.
Il labirinto del silenzio descrive e riflette su quest’epoca così poco raccontata dal cinema soffermandosi sull’eroica impresa di chi, non senza difficoltà, riuscì a scoprire e a dimostrare tutta la verità su Auschwitz, inferno dalle fiamme altissime e dai diavoli crudeli e sadici.

Proprio per l’importanza del tema che affronta – e che fa inevitabilmente pensare all’ignoranza e alla disinformazione dell’oggi ­– il film è stato scelto dalla Germania per la corsa all’Oscar, cosa che, ovviamente, ha reso Ricciarelli molto felice. A spingerlo a mettersi al lavoro, tuttavia, più che la voglia di strappare un premio o piacere al pubblico, è stata la necessità di riportare alla luce cose quasi dimenticate: "Il tema forte de Il labirinto del silenzio" – ha spiegato lui stesso durante la conferenza stampa di presentazione del film – "è che narra una storia sconosciuta in Germania, io stesso non la conoscevo, sono cresciuto in Germania, sapevo tutto fino al ‘45, quasi nulla sugli anni immediatamente successivi, quindi mi sono detto: 'Noi dobbiamo proprio raccontare questa storia'. Negli anni ’50 la Germania voleva rimuovere l’Olocausto, perfino Friz Bauer era ignoto ai più. Nessuna piazza era dedicata a lui, è rimasto a lungo un eroe invisibile, dimenticato. Il processo di Francoforte è merito suo. Bauer non poteva condurre le indagini, ma grazie a una lista fornitagli dal giornalista Thomas Gnielka avviò il processo, affidandolo a giovani procuratori che sapeva non essere coinvolti con il Nazismo. Bauer voleva educare il popolo tedesco, sottolineando che Mengele era sì un demone, ma i carnefici erano tutti coloro che avevano operato nei campi di sterminio".

Il labirinto della colpa è un titolo piuttosto impegnativo. In realtà il regista aveva pensato di abbandonarlo, ma il pericolo di venire confusi con un’opera di tutt’altro genere non gli ha consentito di cambiarlo: "C’è un libro che s’intitola 'Il labirinto della colpa', all’inizio era anche il nostro titolo, ma ‘colpa’ è una parola pesante, e allora abbiamo cominciato a chiamarlo Il labirinto. Ma c’era un film che si intitolava Maze Runner il cui sottotitolo era Il labirinto. I produttori lo sapevano e, per evitare che la gente facesse confusione, mi hanno chiesto di tornare alla prima scelta. In Spagna il film s’intitola Il labirinto del tacere, che è una cosa diversa, anche un bosco può essere silenzioso, tacere invece è una cosa attiva, una scelta. Gli americani hanno optato invece per Il labirinto delle bugie".

Il labirinto della colpa non ha le ingenuità di tante opere prime, ma è solido sia da un punto di vista contenutistico che formale, tanto che lo si può tranquillamente definire un film classico nel senso migliore del termine. Per Ricciarelli questa cifra stilistica ha a che vedere con un’esigenza di chiarezza: "Ho provato a fare un film accessibile al pubblico, un film quasi commerciale. La struttura drammatica doveva essere classica, rigorosa. Abbiamo cercato di essere precisi anche nella ricostruzione dei fatti, anche se Johan non è un personaggio realmente esistito, ma un miscuglio di tre diversi procuratori. Per interpretare questo personaggio ho scelto Alexander Fehling fin dall’inizio, perché mi sembrava perfetto per il ruolo. L’attore che avrebbe impersonato il giornalista doveva essere diversissimo da lui, perché è bene che in un film corale ogni attore abbia una sua particolarità. In Germania ci sono venti attori che fanno tutto, non so se è così anche da voi. L’attore interpreta il giornalista (André Szymanski) viene dal teatro. Negli anni ‘50 la gente parlava in modo diverso, più educato, chi non si è formato sul palcoscenico non riesce a capire questa differenza. Volevo facce non conosciute per i non protagonisti, certo… una star ti aiuta molto a entrare nella storia, ma quando mi capita di trovare un attore famoso che fa una parte piccola, perdo la concentrazione, penso solo a lui, penso che prima o poi dovrà ricomparire e allora lo aspetto".

Per fortuna Giulio Ricciarelli non ha scatenato polemiche con il suo film né reazioni da parte dalla destra neonazista, il che testimonia sicuramente dell’importanza che la Germania ancora dà al valore della memoria: “Il mondo del cinema e il mondo della destra neonazista non si sfiorano, e la cosa un po’ mi rammarica perché mi piacerebbe che anche quelle persone vedessero il mio film e riflettessero. La Germania è un po’ stanca di parlare dell’Olocausto, ma continua a ‘lavorare’ sulla memoria. In Germania, se uno nega l’Olocausto, commette un reato. A quasi nessuno piace che sia stato ripubblicato 'Mein Kampf'  e sono certo che, se ci fosse stato un modo legale per evitarlo, molti si sarebbero messi all’opera. Personalmente credo che i film sull’Olocausto non saranno mai troppi. Credo che la colpa sia una cosa individuale. Se sono nato nel ’65, non sono colpevole dell’Olocausto, ma da tedesco sono responsabile e questa è una cosa che nessuno cancellerà mai. Il mondo ancora oggi guarda la Germania pensando all’Olocausto. Siamo sempre lo stesso popolo".

Giulio Ricciarelli ha concluso la conferenza stampa de Il labirinto del silenzio – che uscirà il 14 gennaio distribuito da Good Films ­– parlando della corsa all’Academy Award: "Il giorno in cui il film è stato scelto ero al mare. Ho spento il cellulare e mi sono goduto la giornata, per poi riaccenderlo e trovare un messaggio del mio produttore. Sono felice, anche se l’Oscar non è una competizione come i 100 metri o il salto in alto".

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