Il cratere, ovvero "spostare in là i discorsi sul realismo fino a frantumarli" - Parlano i registi Silvia Luzi e Luca Bellino
Unico film italiano alla Settimana della Critica 2017, premiato da Tommy Lee Jones al Festival di Tokyo, arriverà nei cinema il 12 aprile: cinema di qualità che emoziona, da premiare.

Arriva in sala il 12 di aprile, in una ventina di sale, un'opera prima italiana che è stata presentata lo scorso settembre alla Settimana della Critica, durante il Festival di Venezia, e che ha vinto il premio della Giuria al Festival di Tokyo (Tommy Lee Jones, presidente di giuria, ha lodato un film capace di farlo piangere "con due attori e una stanza") ed è stato presentato anche al Festival di Göteborg.
Si chiama Il cratere, ed è un film appartenente al filone di un cinema di qualità che, come dice Luca Bellino, che l'ha diretto a quattro mani con Silvia Luzi, "rivendica la sua artigianalità e la sua capacità di avere presa sul pubblico." E, aggiungo io, che merita di essere premiato dal pubblico, e visto al cinema.
Ambientato negli spazi indistinti e sfocati tra Napoli e Caserta, cui fa riferimento il titolo, Il cratere racconta di un padre e di una figlia: Rosario, un ambulante che ha una bancarella dove chi pesca un numero vincente riceve un peluches, e sua figlia tredicenne Sharon, che è un'adolescente indolente ma col talento di una vera cantante. E proprio attraverso il canto di Sharon, Rosario cercherà la possibilità di un riscatto che si tramuterà in una vera e propria ossessione.
Girato con uno stile registico sorprendente, con la macchina da presa sempre incollata al volto dei suoi protagonisti, dove tutto il resto del mondo è fuori fuoco, Il cratere è un film "di regia e d'immagine," come dice Bellino, "che vuole superare i confini del cinema verista, del cosiddetto cinema del reale, che vuole spostare in la i discorsi sul realismo fino a frantumarli."
E difatti il film è sospeso in perenne tensione tra la sua anima realista e quasi documentaristica (da lì vengono i due registi) e quella di finzione: "Quello che avete visto è il risultato di un lavoro lunghissimo," spiega Bellino. "Siamo partiti da una sceneggiatura completamente di finzione, che abbiamo scritto nel corso di alcuni anni, e poi siamo scesi nel cratere alla ricerca di un vero padre e di una vera figlia cui affidare i nostri personaggi, dai quali prendere elementi di realtà e utilizzarli per contaminare il nostro canovaccio."
Così, dopo bizzarri casting effettuati in emittenti locali e studi di registrazione, i registi si sono incontrati per caso in Sharon Caroccia, una ragazzina che cantava davanti alla bancarella del padre Rosario alla festa della Madonna di Pompei, e da allora non hanno avuto più dubbi su chi dovessero essere i protagonisti del loro film.
"Con loro è cominciato un lavoro di formazione lungo," spiega Silvia Luzi, "perché non avevano mai recitato prima, e perché abbiamo stravolto le loro indoli: Sharon, che nella vita è più che vulcanica, è stata costretta a lavorare in sottrazione, a tirare fuori umori che non aveva; con Rosario è avvenuto l'opposto, abbiamo dovuto convincero a titare fuori della rabbia per rendere credibile l'ossessione che il suo personaggio sviluppa per coronare il suo sogno di riscatto."
Per la regista, infatti, "il punto di partenza per Il cratere sono stati i sogni dei padri che vengono riversati sui figli come realizzazione personale, non per il successo in sé, ma per un riscatto personale: abbiamo pensato a chi fa sport, o suona uno strumento, e lo abbiamo applicato alla musica neomelodica. C'è un video che ci ha inspirato, nel quale Federica Pellegrini, per una crisi di panico, non riesce a tuffarsi in acqua, e suo padre dietro di lei la incita e la sprona."
Oltre alla messa in scena, sorprendentemente curata tanto nelle immagini che nel sonoro (e ancora più sorprendente se si pensa che Luzi e Bellino hanno fatto tutto da soli, riprese, fotografia e l'audio in presa diretta), a colpire di Il cratere è anche l'interpretazione di questi due non-attori, straordinari per intensità e naturalezza.
"Ogni scena del film veniva scupolosamente provata e coreografata per tre o quattro giorni," dice Luzi, "Partivamo dal copione per lasciare progressivamente entrare nella scena la realtà di Sharon e Rosario, e rielaborare il tutto. Alla fine del processo Rosario era talmente cosciente di quel che era richiesto al suo personaggio da dare lui stesso lo stop quando pensava di poter fare meglio in una certa scena. E non a caso è accreditato alla sceneggiatura assieme a noi."
E per Sharon Caroccia quello di questo film è stato un battesimo cinematografico in più di un senso, visto che non solo non aveva mai visto il film in cui recita, ma non era nemmemo mai entrata in un cinema fino al giorno della prima mondiale alla Settimana della Critica.
Il cratere, per dirla con la sua regista, "è una storia piccola e intima che esplode in altri mondi." E questi mondi riguardano tanto i protagonisti, quanto l'idea stessa di immagine, e la Campania.
"Il lavoro sull'immagine è stato una spinta primaria," dice Bellino, che cita come uno dei suoi punti di riferimento Abbas Kiarostami. "Tra le altre cose che abbiamo voluto raccontare in questo film, attraverso la sua storia ma anche il suo linguaggio, è come l'ossessione per l'immagine ti porti a perdere il controllo con i corpi, alla realtà di quello che accade davanti a noi, che viviamo nell'era della sovrabbondanza dell'immagine e per questo non vediamo più. Il cratere parla di un padre che perde una figlia perché la trasforma in un'immagine."
E la scelta del primissimo piano, soffoncante, sui protagonisti, era "per trasmettere l'ossessione," dice il regista, "ma anche per raccontare quello spazio di una Napoli che è tutto tranne che Pane, amore e fantasia, e che non è nemmeno Gomorra, che non è né pizza né kalashnikov, ma un posto dove per ragioni molto complesse non puoi vivere lo spazio pubblico, e che quindi ti soffoca."
Il cratere, se soffoca, soffoca per le emozioni che crea, genera e racconta. E dare una chance di sopravvivenza in sala al film è anche un modo per aiutarci, paradossalmente, a respirare meglio un'aria cinematografica che riesce a tenere assieme. magicamente, il rigore, la qualità e il sentimento.