I Pionieri: intervista al regista Luca Scivoletto, anche lui bambino in guerra con il Comunismo
I Pionieri è una commedia che racconta con grazia e ironia la marachella di un gruppo di ragazzi in ribellione verso i genitori. La regia è di Luca Scivoletto, che abbiamo incontrato e che, come due dei protagonisti, è cresciuto in una famiglia comunista.
È appena arrivato nelle nostre sale un film delicato, ironico e intelligente che ci riporta a un'epoca in cui Berlinguer era un punto di riferimento e le idee politiche dei genitori impattavano inesorabilmente sulla vita dei loro figli. I Pionieri racconta infatti un briciolo d'estate del giovane Enrico, che scappa da una "vacanza alternativa" in giro fra le sezioni del Partito Comunista per andare in campeggio con l'amico del cuore Renato, che crede ciecamente nella falce e nel martello. A loro si unisce un pluribocciato il cui padre è il fascista del paese, e lungo la strada i tre compari si imbattono in una ragazzina americana fuggita dalla vicina base militare USA.
I Pionieri è diretto da Luca Scivoletto, che è stato anche lui cresciuto da genitori comunisti e che si è concentrato su un'età, la preadolescenza, spesso raccontata dal cinema, ad esempio da Stand by me. Parte proprio da questa complessa fase della vita la nostra intervista al regista, che è anche un cinefilo. "Ho voluto parlare di preadolescenza" - spiega - "prima di tutto perché è stata indagata molto dal cinema, e quindi molti film della mia formazione da spettatore e da cinefilo raccontano proprio quel periodo. Credo che sia un momento della nostra vita di trasformazione radicale, forse quello in cui si cambia di più. Inoltre, il tema del film, o meglio ciò che narra, corrisponde alla mia preadolescenza, e quindi era naturale per me identificarmi con il punto di vista di chi all'epoca - era il 1990 - assisteva a una serie di cambiamenti che riguardavano proprio il Comunismo o la politica in generale, ad esempio la caduta del Muro di Berlino e l'Italia che andava verso la fine della Prima Repubblica. In quel periodo avevo nove anni, e stavamo attraversando una fase storica di grande importanza caratterizzata dalla fine della Guerra Fredda. Parlare di queste cose attraverso lo sguardo di alcuni ragazzini ancora non maturi politicamente mi è sembrata un'idea originale".
La storia di Enrico e della sua famiglia comunista è la tua storia? Che rapporto avevano i tuoi genitori con la politica?
La mia famiglia aveva un rapporto fortissimo con la politica, mio padre era un dirigente del Partito Comunista, e quindi ho nuotato in questo acquario fin da ragazzino. Erano così i miei? Erano un po’ meno rigidi di come li ho rappresentati, perché in realtà non erano loro che volevo rappresentare, seppure ci sono cose che ho rubato alla mia famiglia. In generale, però, ho mostrato la tipica famiglia comunista. Ce n'erano molte così anche negli anni '80 e '90. Erano rigide ma partivano da presupposti buoni, e cioè da un'educazione che doveva essere incentrata su alcuni valori importanti, in particolare non cedere alla tentazione delle cose facili e del consumo facile. Di base queste famiglie avevano ragione, però a 12 anni stai crescendo e ti vuoi integrare. La tua priorità è essere come gli altri e dunque lo scontro con i genitori è inevitabile. Anche a me è capitato. Io poi sono cresciuto in Sicilia, all'interno di una famiglia comunista, e quindi, oltre ad avere un'educazione di quel tipo, mi trovavo in un contesto in cui ero marginale rispetto alle consuetudini del luogo, in cui dominava una cultura più che altro democristiana, conservatrice e cattolica.
Mentre gli adulti, nel film, rimangono ancorati alle proprie posizioni, i ragazzi superano le diversità, in particolare attraverso il gioco e la curiosità verso l’'ltro sesso. In questo modo trovano una via di comunicazione. È una cosa molto bella…
I ragazzi vivono il loro momento di crescita secondo esigenze che sono tipiche della loro età: la ricerca di un'identità e la curiosità nei confronti di tutto quello che accade in ambito amoroso, dai primi baci alla ricerca del primo amore, per non parlare del tentativo di affrontare la propria timidezza. In un simile contesto, è ovvio che si superano completamente le differenze politiche che riguardano i propri genitori e anche se stessi, perché ognuno di noi a quell'età si porta dietro anche la propria educazione familiare, sia essa politica o meno. Si supera tutto, quando si è molto giovani. Tra l'altro i ragazzi del film vivono in un paese, e la cosa buona di crescere in una città piccola è avere a che fare con una trasversalità nei rapporti sociali. Tu puoi tranquillamente avere nella stessa classe il figlio dell'aristocratico e il figlio dell'idraulico, e poi comunisti, fascisti, eccetera. Enrico, Renato, Margherita e Vittorio superano le loro diversità: avranno forse l'adolescenza e l'età adulta per tornare su posizioni di contrapposizione. Mi piaceva l’idea di ricostruire questo loro mondo, sospeso fra realtà e immaginazione, in cui universi molto distanti si scontrano per poi ricomporsi in maniera diversa.
Enrico ha delle visioni di Berlinguer che gli parla e gli dà dei consigli. Il ragazzo non ne è felice e cerca di scacciare l'uomo politico. Come ti è venuto in mente questo fantasma? E Claudio Bigagli come ha avvicinato il personaggio?
Non mi è mai capitato di veder apparire Berlinguer, però Berlinguer è una specie di modello e di fantasma per il mondo in cui sono cresciuto io. Fa parte di quei personaggi della storia italiana che sono i nostri riferimenti. Ovviamente ce ne sono anche altri, però il mio modo di guardare a quell'epoca, piena anche di contraddizioni, è comunque legato a quella figura. Quindi sono partito da lì, oltre che dall'idea che Enrico Berlinguer fosse un po’ un amico immaginario. Berlinguer è inoltre l’immagine positiva che il protagonista Enrico ha del mondo in cui è cresciuto. Nello stesso tempo Berlinguer è una figura un po’ paterna da cui si deve liberare. Noi veniamo educati in un determinato modo. Poi, improvvisamente, arriva un momento della crescita in cui vogliamo dire no ai nostri genitori. C'è una parte di noi, che potremmo considerare una sorta di super-io o di coscienza interiore molto forte, che ci dice: non fare questo, perché questo è in contraddizione con quello che sei e con il modo in cui ti hanno educato, e allora, insieme agli altri sceneggiatori, abbiamo fatto in modo che una persona sola incarnasse questo tema. Era Enrico Berlinguer, e un simile escamotage narrativo ci ha dato anche l'occasione di creare un Berlinguer un po’ zio simpatico, sempre con la sigaretta in bocca. Si tratta di un Berlinguer di fantasia in cui abbiamo messo anche la nostra percezione di lui. In ogni modo, ho imparato da quello che ho letto che si trattava di una persona profondamente simpatica nella sfera privata, ma molto seria, sebbene gentile e dolce, nella sfera politica. Claudio Bigagli ha incarnato esattamente questo Berlinguer con licenza poetica. Non volevo creare la maschera di Berlinguer, un personaggio che lo vedi e dici: 'Guarda quanto è uguale a Berlinguer!' No: guarda quanto è Berlinguer nell'intimo. Bigagli ha fatto un ottimo lavoro perché è un grandissimo attore, ed è diventato la perfetta incarnazione del Berlinguer dei nostri ricordi.
I Pionieri, che è distribuito da Fandango, è interpretato anche da Mattia Bonaventura, Francesco Cilia, Danilo Di Vita, Matilde Sofia Fazio, Peppino Mazzotta, Lorenza Indovina, Eleonora Danco, Elvira Camarrone, Maurizio Bologna.