Giancarlo De Cataldo ci racconta il suo Pertini combattente
Uno sguardo sul presidente del popolo senza retorica e con uno sguardo ai giovani.

A pochi giorni dalle elezioni politiche, dopo una campagna elettorale misera come poche volte, si affaccia nelle sale dal 15 marzo il documentario Pertini - il combattente. Diretto da Graziano Diana e Giancarlo De Cataldo, anche guida e intervistatore, si rivolge soprattutto ai giovani, ma permette anche ai testimoni di quell’epoca di piangere qualche lacrima amara al pensiero di una figura di tale spessore, specie confrontandola al pallore politico di questi ultimi anni.
Un documentario che si ispira a un saggio scritto dall’autore di Romanzo criminale nel 2014, Il combattente. Come si diventa Pertini.
“Pertini ha un messaggio molto forte di libertà e giustizia sociale che ha perseguito per tutta la vita, di correttezza e onestà”, ci ha detto De Cataldo nel corso di un’intervista telefonica. “Un messaggio chiaramente agito e vissuto da un uomo di un altro secolo, ma siccome incarna dei valori eterni, l’idea era raccontare qualche brandello della sua vita per farli arrivare soprattutto ai più giovani. La modernità di Pertini sta nei valori che esprimeva.”
Nel passaggio al film avete filtrato il racconto attraverso il coinvolgimento di alcuni giovani, il cui ricordo di Pertini è per forza di cose sfumato.
Volevamo evitare il santino e la noia della celebrazione di un tempo andato fatta con un linguaggio che abbiamo visto troppe volte e quindi ci siamo posti dal punto di vista ideale di uno spettatore di vent’anni che ha sentito parlare in modo superficiale di Pertini, utilizzando vari linguaggi, tra cui le tavole di Pazienza, l’animazione e la musica, dal rock al punk, visto che ci sono tante canzoni dedicate a Pertini, anche improbabili. Abbiamo scelto, quindi, una chiave che non fosse barbosa.
Lei ha parlato giustamente di una figura ancorata nel Novecento, ma fu anche il primo presidente pop/rock, anticipando un modo poco ingessato di interpretare la carica.
Pertini rompe uno schema di presidenza silente, di carica autorevole, ma sullo sfondo, che incute rispetto. Si rivolge al popolo, con la sua lingua. In questo la popolarità è quella di una figura di famiglia, di cui ci si fida, ma che ti dà contemporaneamente gli stimoli per diventare migliore. In questo senso è stato un padre, più che un nonno, per tutti gli italiani, con tutti i limiti che questo comporta, come la modifica del ruolo istituzionale. Oltre alla domanda di fondo: se questo approccio che salta i passaggi istituzionali rivolgendosi direttamente al popolo la usa Pertini, bene, ma se finisce in mano a qualcun altro privo della sua limpidezza morale, allora cosa succede? Domanda ancora valida.
In queste giorni post elettorali risuonano forti le parole di Marcello Sorgi che parla di inizio di populismo con Pertini, visto il suo mettersi dalla parte del popolo, lui dice, ‘promettendo delle cose che il sistema non era in grado di mantenere’. Una tematica molto attuale.
Su questo ne abbiamo discusso a lungo, e si continua a farlo. Non sono del tutto d’accordo con Marcello Sorgi, a mio avviso Pertini non prometteva, ma sferzava la classe politica per richiamarla al dovere della buona politica. Non era il capo del governo con un programma elettorale, ma il Presidente della Repubblica, senza poteri diretti e immediati, il garante dell’unità nazionale. La sua fu una funzione di stimolo nei confronti della politica. Questo faceva Pertini.
Incontrando molti giovani, si ritiene ottimista o pessimista per il futuro?
La penso come Pertini, che in un’intervista rispose alla critica sulla giovane età dei cosiddetti pretori d’assalto. Rispose molto stizzito, ‘da quando in qua la giovinezza è un peccato, semmai è un sintomo esaltante’. Bisogna perdonare di più ai giovani, hanno il diritto di sbagliare. La nostra generazione, come quelle precedenti, lo hanno fatto così spesso, anche illudendoli e deludendoli. Ci vuole più fiducia nei giovani e grande attenzione alle parole che si usano, nel dargli dei fannulloni, degli sdraiati. Andiamoci piano, se non si trova un terreno di comunicazione a due sensi con quelli che sono i nostri figli e i nostri nipoti, non si progredisce.
È d’accordo con chi sostiene la libertà non è mai una conquista definitiva?
Oggi più che mai. Pensi al diritto del lavoro, alle libertà sindacali o di professare la propria fede religiosa, minacciate in tante parti del mondo, o alla libertà delle donne costrette da regimi odiosi a stare chiuse in casa o impossibilitate a lavorare e guidare la macchina. Siamo abituati a ragionare di libertà e democrazia nella nicchia dell’Europa, nell’occidente più evoluto. Ma anche noi siamo minacciati, per cui assolutamente sì, la libertà è una conquista che va difesa a spada tratta.
Il fallimento è alla base della crescita di tutti, ancora di più di un politico, non trova sia una considerazionen da tener ben presente anche in periodo di risultati elettorali, talvolta impietosi?
Non piace a nessuno riconoscerlo, ma nella vita quante volte si fallisce, si cade e ci si rialza? Quello che dice mi trova assolutamente d’accordo. Pertini era un professionista della resilienza, cosa doveva pensare quando nel buio della sua cella l’Europa era dominata dal buio delle dittature e si combatteva una guerra con milioni di morti e l’orizzonte era assolutamente nero? Eppure da lì si è alzato, è uscito, ha imbracciato il fucile, poi il megafono e la penna, diventando il presidente degli italiani. Il grande scrittore Samuel Beckett diceva, ‘la prossima volta cercherò di fallire meglio’.
Nella sua carriera di narratore, quindi nel regno della finzione, non si trova talvolta superato dalla realtà stessa, quella che ha vissuto più direttamente come magistrato?
Conservo la capacità di sorprendermi, visto che la realtà mi presenta situazioni che non riuscirei neanche a immaginare. A volte ci sono delle occasioni, anche giudiziarie, in cui ti trovi davanti a dei casi reali che un produttore, o un regista, ti rimanderebbe al mittente definendoli assolutamente impossibili. La realtà ci coglie sempre di sorpresa, la grande missione dei narratori è quella di interpretarne i segnali, e quando sono molto bravi, non è il mio caso ma ce ne sono, quella addirittura di anticiparli.