George A. Romero, papà degli zombi, non ama The Walking Dead
Conferenza stampa al Lucca Film Festival del regista, l'autore politico più amato dai fan dell'horror.
Partito l'entusiasta William Friedkin, lasciando ore di girato in regalo alla città di Lucca per il previsto documentario Puccini by Friedkin e la promessa di mettere in scena senza cachet il Trittico del musicista, è arrivato nella città alberata, già da un paio di giorni, George A. Romero, il celebre cineasta indipendente creatore degli zombi moderni, nato a New York e a lungo vissuto a Pittsburgh, prima di trasferirsi a Toronto. Superati fortunatamente i problemi di salute avuti di recente, Romero è arrivato a Lucca atteso da legioni di nerd e accompagnato dalla moglie Suzanne, per la retrospettiva a cura di Paolo Zelati, il premio alla carriera e la masterclass.
Nella conferenza stampa sono stati affrontati alcuni dei temi della sua opera, ad esempio il suo rapporto con la morte. Sono stato educato nella religione cattolica, ma fin da giovane mi sono allontanato dalla chiesa – ha risposto il regista - Avevo queste fantasie sulla vita dopo la morte e forse, chissà, è stato questo, da qualche parte nella mia mente, a creare gli zombi come una forma di vita dopo la morte. Nei miei film comunque sono sempre al centro della storia i vivi. Gli zombi sono una minaccia costante e non sai mai cosa aspettarti da loro, ma in realtà parlano di gente che non capisce cosa sta succedendo.
Di recente Romero (il cui ultimo film, Survival of the Dead, è del 2009) è stato autore di una serie a fumetti, Empire of the Dead, per la Marvel. Logica quindi una domanda sul suo rapporto con questo mondo. Ho sempre amato i fumetti, film da ragazzo, e fortunatamente mi hanno chiesto di farne due, uno per la DC e uno per la Marvel che ho appena finito. E' più facile rispetto al cinema perché non dovendo girarli non devi porti problemi di budget. Ma anche se sono più facili da realizzare non sono soddisfacenti come un film perché non hai un prodotto completo e finito da mostrare. Ad esempio di Empire of the Dead ho scritto 15 numeri, ma non ho mai avuto la possibilità vera e propria di collaborare con i tre diversi artisti. In questo senso è meno gratificante. Spero di fare un'altra serie. Forse Empire of the Dead diventerà anche una serie televisiva ma non ne ho ancora la certezza.
Cosa pensa dei film tratti dai videogame e realizzati in soggettiva? Non so se ho capito bene la domanda ma per certi versi è pericoloso, penso che la narrazione cinematografica abbia molto di più da offrire oltre il punto di vista del creatore e parte della responsabilità di un regista è proprio quella di offrire un punto di vista diverso, non di evitare che ce ne siano altri, mentre nei videogame chi gioca vede esclusivamente dalla propria prospettiva, coi propri pregiudizi e le proprie opinioni. Non penso che questo stile arriverà a sostituire quello tradizionale.
Cosa le fa veramente paura? Donald Trump e il suo parrucchino? (Ridendo). Non ho paura del parrucchino, ma di quello che c'è sotto! La politica americana è diventata un circo e questo mi spaventa molto di più di qualsiasi elemento soprannaturale. Mi piacerebbe incontrare un vampiro o un alieno, ma il terrorismo e le bombe sono quello che mi spaventa da sempre.
Sulla nascita di La notte dei morti viventi e su Stephen King, Inizialmente volevo fare un piccolo dramma umano su due teenager che crescevano in tempi molto difficili ma capimmo subito che non avremmo mai trovato i soldi per farlo. Così con John Russo, mio cosceneggiatore, decidemmo invece di fare quel film. Quanto a Stephen è un mio caro amico, una persona normale, che suona in una band di rock 'n roll, gioca a baseball, fa le cose che fanno tutti e con cui è molto facile fare amicizia.
Per fare film che abbiano il messaggio politico che c'è nei suoi, è indispensabile realizzarli in modo indipendente? Ho sempre avuto difficoltà a farmi finanziare i film, anche perché ero l'unico a fare i film di zombie, che ora sono dappertutto! Brad Pitt e il mio amico Greg Nicotero hanno rovinato la piazza, non troviamo finanziamenti per un piccolo film di zombi, ora è diventato impossibile perché vogliono spenderci milioni di dollari. Ho fatto due film per gli Studios, con l'Orion, e ho avuto dei problemi terribili, è stato spaventoso, dovevo sempre cambiare e tagliare, e il bello è che aveva fama di essere uno Studio amichevole e aperto coi registi. La Warner poi ha distribuito Creepshow e la Universal La terra dei morti viventi, ma sono entrambi stati prodotti in modo indipendente. Per me è l'unico modo per farlo. All'inizio della mia carriera sono stato molto fortunato a incontrare l'uomo che ha distribuito Zombi, non avrei mai potuto fare Knightriders e altri film senza di lui. Credo che la strada giusta sia quella dell'indipendenza se trovi il modo di farlo e io in questo ho avuto fortuna.
Non pensa che adesso la gente sia ancora più zombificata? Al contrario, penso che oggi la gente sia sempre meno zombi e credo che i social media – che per certi versi sono anche pericolosi - abbiano aperto le porte alla libera espressione. Era sicuramente peggio negli anni Settanta, Ottanta o nei primi Novanta quando c'era una mentalità da branco. Penso che ora sia meglio e che la gente si stia svegliando.
Per lei cosa è la cosa più importante in un film? Ogni film che ho fatto è diverso ma per me il messaggio è sempre la cosa più importante. Non sono bravo a vendere l'idea dei film, a dire fa paura ecc, ma parlo sempre di quello che c'è sotto, del messaggio, preferisco parlare delle idee che ci sono sotto invece che degli aspetti più superficiali. Al centro dei miei film in genere ci sono le persone che non capiscono quello che succede intorno a loro e restano ferme nei loro pregiudizi.
La notte dei morti viventi ha fatto scalpore anche per la fine, col personaggio di colore che viene ucciso dagli uomini. E' vero che non era intenzionale? Duane Jones era l'attore migliore tra i nostri amici, quando acconsentì a fare il film il discorso razziale non era affatto uno dei nostri temi. La storia era che stava succedendo qualcosa di straordinario fuori e le persone all'interno della casa continuavano a discutere e a scannarsi tra di loro, ognuno con le proprie idee. Il film per noi parlava della famiglia e di argomenti molto più intimi del razzismo. Quando il film fu finito, proprio mentre portavamo la prima copia in macchina a New York, sentimmo alla radio che Martin Luther King era stato assassinato, da quel momento divenne un film a sfondo razziale, fu una coincidenza incredibile.
George Romero è soddisfatto di se stesso? Mai, vorrei sempre fare di più, sento che ho moltissime idee che mi piacerebbe reaalizzare e film da girare. Ora meno, ma il cinema a 35mm un tempo era un mezzo molto costoso, costava moltissimo anche solo sviluppare la pellicola e raramente le idee e i soldi arrivano nello stesso tempo. Vorrei fare molte più cose anche se sono soddisfatto di quello che ho fatto finora.
Gli zombi sono oggi popolarissimi. Che ne pensa dei suoi numerosi nipotini? Non sono stato coinvolto in alcun modo, intanto. Diciamo che mi arrabbio, non mi piacciono. A dare il via al tutto è stato The Walking Dead. Mi è piaciuta molto la graphic novel, ma quando l'hanno portata in tv e hanno licenziato Frank Darabont, che era lo showrunner della serie, mi è dispiaciuto. Non so perché lo abbiano fatto, forse per cercare di spremere più soldi dalla storia. La prima stagione mi era piaciuta, ma poi è diventata una soap-opera, The Talking Dead!