Interviste Cinema

Father and Son: la parola al regista Hirokazu Kore-eda

Il regista giapponese, premiato a Cannes con il Premio della Giuria, ci racconta il suo film.

Father and Son: la parola al regista Hirokazu Kore-eda

Dopo aver ottenuto al Festival di Cannes il Premio della Giuria, Hirokazu Kore-eda è stato lo scorso novembre ospite di Alice nella Città, la sezione indipendente del Festival di Roma, accompagnando non solo Father and Son ma anche il precedente I Wish.
In quell'occasione abbiamo incontrato il regista nipponico, e abbiamo raccolto alcune dichiarazioni sul suo film, i suoi temi, il progetto spielberghiano di remake e sulla sua idea di cinema.
Eccole di seguito:

 

L’idea del film

Sono nato come documentarista, ho sviluppato i miei film a partire da fatti di cronaca. Fino ad arrivare a Still Walking, che ho scritto pensando a mia madre che ci aveva lasciati. È stata la prima volta che da un fatto personale ho sviluppato un film: si è trattato di un’esperienza nuova, e da quel momento ho iniziato a sviluppare film a partire fatti che mi hanno colpito personalmente, o da esperienze personali. In questo film non si parte da una fatto di cronaca ma dalla voglia di capire e mettere in dubbio il mio ruolo di padre, dal valutare se la paternità è un dato acquisito, un fatto di sangue o viene costruita con il tempo e con il rapporto con i propri figli. Volevo raccontare l’ansia giornaliera della paternità, la necessità di costruire un rapporto giorno dopo giorno: è stato questo il nocciolo della mia sceneggiatura.

 

Lo sguardo del regista

Nei miei film non voglio descrivere il bene assoluto o il male assoluto, non sono un Dio che giudica i protagonisti e le loro azioni. Non lo faccio, non giudico mai. Nei film non do importanza ai toni del bianco e nel nero ma alle gradazioni del grigio, lo faccio di proposito, cerco sempre di mantenere una certa distanza.

 

Il senso del legame

Sono passati più di due anni e mezzo dal terremoto e dallo tsunami che hanno devastato il nord-est del Giappone, ma era già da prima che i media stavano parlando dell’importanza della famiglia e del legame familiare. Il termine “legame”, in giapponese però trascende quello di sangue, relativo alla famiglia; e in una società come quella nipponica dove il legame dei singoli con il territorio e la società si era sgretolato, il terremoto è stato un evento drammatico anche in quei termini, perché ha contribuito al recupero dell’importanza dei rapporti familiari, ma li ha resi al tempo stesso anche insopportabili data la situazione. Quel che io ritengo fondamentale è il rispetto della diversità, anche nel proprio territorio sociale, per permettere la convivenza con tutti e costruire un legame con tutti. Se nel film uno dei personaggi sceglie il sangue, io stesso ho fatto questo film per non arrivare a fare scelte di questo tipo, ma per recuperare un senso più nobile e universale del termine legame.

 

Il remake di Steven Spielberg

Ho parlato con Steven Spielberg dopo la premiazione del Festival di Cannes, e già allora mi aveva manifestato l’intenzione di lavorare ad un remake. Facendo spesso film coi bambini,  considero Spileberg una pietra miliare, la perfezione nel nostro mondo cinematografico, e sono onorato che abbia visto delle potenzialità nel mio film. A settembre abbiamo firmato il contratto, io l’’ho ringraziato e gli ho dato la mia completa fiducia. Lo andrò a trovare durante le riprese: sono molto felice di questa collaborazione e non vedo l’ora di vedere la versione del regista americano.

 

 

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