Ero in guerra ma non lo sapevo: Francesco Montanari e Laura Chiatti parlano del film su Pierluigi Torregiani
Sarà nelle sale italiane il 24, 25 e 26 gennaio Ero in guerra ma non lo sapevo, il film di Fabio Resinaro che racconta l'omicidio del gioielliere Pierluigi Torregiani, avvenuto nel 1979.

Gli Anni di Piombo continuano a interessare chi racconta storie e chi fa cinema, anche se, a causa dei recenti avvenimenti che hanno costretto il mondo intero a un cambio di passo e di abitudini, ci sembrano lontanissimi. Fra i tanti episodi che li hanno resi cupi e violenti c'è l'uccisione del gioielliere Pierluigi Torregiani per mano dei Proletari Armati per il Comunismo. E’ accaduto a Milano nel 1979, e se Torregiani è morto a causa dei colpi di pistola, suo figlio Alberto è sopravvissuto ma è rimasto paralizzato. Nel 2006 ha sentito l'esigenza di far chiarezza su una vicenda che ha portato a troppe speculazioni e di difendere l'onestà e la dignità di suo padre. Lo ha fatto tramite il libro "Ero in guerra ma non lo sapevo", che è anche il titolo di un film che uscirà in sala il 24, 25 e 26 gennaio e che è prodotto da Luca Barbareschi. Distribuito da 01 Distribution, vede protagonisti Francesco Montanari e Laura Chiatti, che abbiamo incontrato questa mattina su Zoom insieme al regista Fabio Resinaro e in contemporanea con altri 94 giornalisti.
Il primo a parlare è stato Resinaro, già cantore dei Seventies, seppure in maniera molto diversa: "Avevo appena finito Appunti di un venditore di donne, che era ambientato nel 1978, e quindi ero già immerso nell'esplorazione di quella decade. Ero molto affascinato, anche se ho capito subito che Ero in guerra ma non lo sapevo necessitava di un approccio molto più realistico, dal momento che partiva da un fatto di cronaca. Avevo bisogno di un linguaggio meno stilizzato e mi interessava raccontare qualcosa di nuovo su una storia che era già stata discussa con tutta una serie di tesi e antitesi".
Per Fabio Resinaro Ero in guerra ma non lo sapevo parla in un certo senso del periodo che stiamo attraversando: "Mi sono accorto di quanto sia rilevante la storia di Pierluigi Torregiani, perché riguarda un uomo che tiene molto alla sua libertà ma viene spinto in qualche modo a un lockdown forzato. Non è importante capire se Pierluigi abbia ragione o torto, ma quanto possa essere difficile per una persona che vive la sua quotidianità fatta di piccoli e grandi drammi diventare parte di un ingranaggio, di un meccanismo che non gli appartiene. La colpa è della stampa, che mette nel centro del mirino le persone solo per sostenere una tesi. Il mio è un punto di vista fortemente politico, perché si smarca dalle classiche posizioni che si sono contrapposte nel raccontare questa tragedia".
Non è semplice empatizzare con Pierluigi Torregiani, perché incarna una mentalità borghese e un po’ maschilista ormai superata. Man mano che il film va avanti, però, il personaggio acquista umanità, ma all'inizio sembra quasi peccare di scarsa modestia e di hybris. Francesco Montanari non la pensa esattamente così, e spiega: "Se sulle prime Torregiani ci sembra respingente è perché viene immerso suo malgrado in una dinamica di prepotenza e di arroganza a cui non vuole sottostare, e quindi reagisce male. Ovviamente non parlo del Pierluigi vero, ma del protagonista della storia che raccontiamo noi, che è ispirata a fatti reali. Ero in guerra ma non lo sapevo non è un docufilm. All'inizio Pierluigi fa finta di niente perché pensa che la situazione sia gestibile. Non ci dimentichiamo che stiamo parlando di un uomo molto pragmatico, abituato a caricarsi di responsabilità, di un artigiano. In questo senso il simbolismo dell'orologio è perfetto, perché Torregiani è un uomo abituato ad aggiustare un meccanismo, e se il meccanismo si inceppa, lui lo aggiusta le sue mani. A un certo punto però, il meccanismo della sua vita lavorativa e familiare si blocca per dinamiche esterne, e lui tenta in ogni modo di sistemarlo, perché non accetta il fatto che la sua vita debba cambiare per volontà di qualcun altro. Così si adopera perché meccanismo ritorni a funzionare e cerca tutte le strategie per oliarlo nuovamente. Purtroppo viene messo alle strette, e siccome non intende far vedere le proprie debolezze, si mostra fin troppo sicuro di sé. Tutto ciò può renderlo antipatico. Io invece lo trovo empatico".
Per Montanari, Pierluigi Torregiani è da lodare anche per la sua dedizione assoluta al lavoro: "Pierluigi è un lavoratore con un sogno, con un'ambizione primaria: sostenere la sua famiglia. E’ un modo di pensare molto borghese, nel senso che l'uomo deve lavorare, mentre la donna deve accudire la famiglia e crescere i figli. Oggi un uomo di 37 anni come me magari seguirebbe altre dinamiche, però se penso a mio padre, che all'epoca aveva esattamente 40 anni e che fa l'ortopedico, mi accorgo che anche lui ha una mentalità chiusa ed è determinato a difendere ciò che costruisce".
All'incontro con i giornalisti c'è anche Alberto Torregiani, che dice la sua su film: "Ero in guerra ma non lo sapevo chiude un capitolo importante, ci ridà la giusta prospettiva, ci offre quella verità troppe volte discriminata, troppe volte buttata sui giornali in modo erroneo. Effettivamente col passare del tempo quei titoli e quegli articoli non toccano più i nostri sentimenti, se non quando li andiamo a rileggere. Però è vero che in quel momento lì il linciaggio mediatico è stato ciò che ha portato quattro disgraziati intellettuali a commettere questo attentato, questo efferato omicidio”.
Poi Alberto Torregiani parla dell’interpretazione di Francesco Montanari: "Nelle scene a cui ho partecipato, l’ho trovata di una sensibilità enorme. Fabio e Francesco sono riusciti a capire esattamente ciò che volevo. In primis non desideravo che Pierluigi venisse raccontato come una vittima, o come un perbenista, come un uomo a tutti i costi nel giusto. Mio padre era più o meno quello che avete visto nel film. Era una persona forte, con un carattere austero, caparbio. Quando nel 74 siamo stati adottati, papà aveva un negozietto, viveva di oreficeria, di piccoli orologi riparati, di anelli venduti. Sicuramente il fatto di aver creato una famiglia dall'oggi al domani gli ha dato l'impulso a costruire un futuro che fosse più adeguato e sostenibile per tutti noi".
Ascoltiamo infine Laura Chiatti, che parla del suo approccio al film e al personaggio di Elena, la moglie di Pierluigi Torregiani: "Come Francesco, anche io mi sono rifatta soprattutto alla sceneggiatura. Leggendola, ho realizzato che quello che non è cambiato rispetto ad allora è che spesso il colpevole viene sempre ritenuto tale prima dalla stampa ed è colpevole a prescindere. Si è colpevoli anche prima dei processi, e questa è una cosa molto grave, che danneggia l’essere umano. Mi è piaciuto molto il mio personaggio, che è una donna che è diventata madre in maniera diretta, in maniera invasiva, perché non ha vissuto l'elaborazione fetale. Lei ha scelto di essere madre, di prendersi cura della propria famiglia, e lo fa in maniera molto solida, molto lucida. E’ una donna integra, una donna emancipata, che però a un certo punto non riesce più a comprendere il marito e il suo non rendersi conto della gravità della situazione".