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Bari International Film Festival: la lezione di cinema di Michael Radford

Nella giornata del tributo a Massimo Troisi, il regista de Il Postino parla dell’attore napoletano. E anche di altro.

Bari International Film Festival: la lezione di cinema di Michael Radford

Michael Radford è un uomo gentile, un cittadino del mondo che accetta di parlare in italiano alla platea di ragazzi del Teatro Petruzzelli, di alzarsi in pedi per vedere meglio i suoi interlocutori e di condividere il dolore provato per la morte del caro amico Massimo Troisi, diretto ne Il postino.
Radford però ha lavorato anche con grandi attori internazionali come Michael Caine e Al Pacino, oltre a rendere omaggio a Michel Petrucciani, raccontato in un bellissimo documentario.
Ecco i ricordi di una regista che, nelle storie che narra e nelle persone che incontra, cerca sempre l’umanità.

 

Massimo Troisi
“Nel mio primo film Another Time Another Place raccontavo di tre italiani che erano prigionieri di guerra in Scozia. Erano un toscano, un romano e un napoletano. Un giorno un mio amico mi disse che a Napoli c’era un attore bravissimo di nome Massimo Troisi. Tempo dopo vidi Ricomincio da tre e di lui mi  piacque moltissimo il senso dell’umorismo: era simile a quello inglese. Così gli offrii la parte ma lui rifiutò dicendomi: ‘Fa troppo freddo’. Tempo dopo mi richiamò: ‘facciamo un film a Napoli’. E io: ‘Fa troppo caldo’. Così siamo diventati amici. Ci vedevamo una volta l’anno o a Napoli o a Londra. Poi lui ha comprato il romanzo cileno da cui è tratto Il postino. Non potevamo ambientare il film in Cile e Massimo mi ha proposto di spostarlo in Italia. Io non me la sentivo, ma nel momento in cui lui ha minacciato di proporre il film a Giuseppe Tornatore, ho cambiato idea. Mi sentivo sperso perché dovevo avere a che fare con una cultura che non conoscevo intimamente. Massimo però mi ha detto: ‘Quello che conta è l’umanità”.

Massimo Troisi 2
“Massimo era un Dio per la toupe e loro volevano fare soltanto quello che voleva lui. Io ero considerato una specie di assistente. In più gli altri attori cercavano di compiacerlo, tanto che il film rischiava di venire fuori non come lo volevo io e ho dovuto quindi buttare parecchio girato. Nei primi giorni, Massimo entrava in scena e improvvisava per 15 minuti. A un certo punto gli ho detto: ‘Non possiamo continuare così, se vuoi fare il tuo film, fallo, ma io qui non c’entro’. Abbiamo scritto una bella sceneggiatura, atteniamoci alle battute che abbiamo scritto’. Da quel momento in poi mi ha obbedito ciecamente. Solo ogni tanto mi chiedeva timidamente: ‘Possiamo fare una piccola improvvisazione’?

Philippe Noiret
“Mi ricordo quando con Philippe Noiret abbiamo girato l’ultima scena de Il postino. Io ho cominciato a spiegargliela e lui mi ha subito fermato: ‘No non no, questa è una scena di cui si deve occupare un regista. Io ti do due sguardi e poi tu ci costruisci la scena intorno”. Così ha fatto, ha guardato prima in basso e poi un po’ più in alto e io ho capito che in effetti quello che veramente volevo era contenuto in quei due sguardi. L’ho scelto perché somigliava a Pablo Neruda. Soltanto una volta abbiamo parlato di lui. Noiret mi ha detto: ‘Neruda è uno che non si siede con le gambe incrociate. Neruda si siede con le gambe aperte’. Aveva ragione, chi si siede con le gambe incrociate è una persona chiusa, Pablo Neruda era un uomo generoso”.

Il nuovo film
“Sto facendo un film ambientato nei territori di frontiera fra Pakistan e Afghanistan. Non è un film politico, di guerra, è una grande storia d’amore, di persone che soffrono, che sentono la disperazione della loro condizione. Mentre scrivevo il film non mi sono lasciato influenzare dall’immagine distorta che i media restituiscono di quelle terre e di quei popoli. Quelle persone sono come noi. Tutte le persone di tutte le zone del mondo sono come noi. Basta rendersene conto per non avere più paura”.

Un artista cosmopolita
“Sono inglese, ma non ho radici in Inghilterra perché ho vissuto quasi sempre fuori. Eppure in qualche modo mi sento inglese, per esempio tifo Chelsea. Il mio carattere però è quello di un tipo errante, di un vagabondo cosmopolita. Sono sempre stato incuriosito da tutte le altre culture. Quando sono arrivato in Italia, ho studiato il vostro paese: invece di andare a vedere i monumenti, osservavo la gente seduto a un caffè”.

L’Italia
“Ricordo che quando ero uno studente di Oxford, una volta andai con alcuni amici in un pub. Avevo solo 17 anni. Incontrai una zingara che mi lesse la mano e mi disse: ‘L’Italia ti porterà fortuna”.

Michel Petrucciani
Petrucciani era un uomo del sud, amava moltissimo le donne e le donne andavano matte per lui. Aveva un carisma incredibile. Era un genio del pianoforte: aveva cominciato a suonare a 4 anni. Ha sofferto moltissimo per la sua malattia nella sua breve vita, però non se ne lamentava mai. So che, all’età di 16 anni, gli capitò di incontrare una signora che piangeva disperata perché il marito l’aveva lasciata. Le disse: ‘Perché piangi’? ‘Mio marito mi ha lasciato’. E Lui: ‘Guarda me. Nessuno può stare peggio di me, e invece io sono felice di stare al mondo”. Era vero, la sua vitalità veniva fuori nella sua musica. Però ha attraversato anche momenti molto difficili. Si aiutava con la droga. Ho conosciuto e intervistato il suo spacciatore e solo allora ho capito quanto soffrisse, quanti momenti di nervosismo avessero segnato la sua esistenza”.

Michael Caine
Michael Caine è fantastico, è un mito. Con lui non devo fare nulla, perché lui ha il suo modo di recitare e non lo cambia per nessuna ragione al mondo. Se gli dici di fare un’altra cosa, lui non ti dà retta e continua per la sua strada”.

Al Pacino
Pacino si è formato con il metodo Stanislawskij e quindi è un attore che soffre sempre, lui entra davvero in un personaggio e se deve sentirne il dolore, si mette delle pietre nelle scarpe. E’ uno che ha la capacità di rendere più alto il livello degli attori che ha intorno. La nostra collaborazione all’inizio è stata piuttosto problematica. Lui non mi conosceva, mi teneva a distanza, poi, un giorno, alla fine di una scena molto importante de Il mercante di Venezia, mi ha detto: ‘Ce l’ho!” e io: ‘No, non sento energia’. ‘E tu chi sei per dirmelo?’ ‘Il tuo regista’. A quel punto gli è venuta una crisi isterica. Ha gridato: ‘Il cinema mi ha rotto!’ ed è fuggito a rintanarsi nella sua roulotte. L’ho seguito, ho aperto la porta e lui mi ha tirato la tazza in cui stava bevendo il caffè e un’arancia. Abbiamo litigato furiosamente, poi mi ha detto: ‘E va bene, la faccio una volta sola’. Siamo tornati sul set, dove la tensione era altissima. Lui è stato bravissimo e tutta la troupe ha applaudito. Allora lui, convinto di poter ancora migliorare, ha suggerito di fare un altro take”.

 

 

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